È stato somministrato un questionario concordato con il docente di riferimento e sono state fatte interviste di classe trascritte a mano. Le interviste sono state un’esperienza sorprendente per la sincerità e capacità di esplicitare i propri comportamenti ed opinioni. Ha colpito la classe che ha dedicato quasi tutto il tempo di un’incontro a parlare della violenza degli adulti, insegnanti compresi.
Dati del questionario, per un totale di 118 questionari raccolti:
Hai fatto a pugni o spinto qualcuno a farlo?
Spesso 6% – qualche volta 36% – no, mai 58%
Hai minacciato di colpire o picchiare qualcuno?
Spesso 8% – qualche volta 34% – no, mai 58%
Hai avuto uno scontro fisico serio?
Spesso 7% – qualche volta 20% – no, mai 73%
Hai colpito qualcuno perché non ti è piaciuto ciò che ha detto o fatto?
Spesso 6% – qualche volta 45% – no, mai 49%
Hai assistito ad episodi di sopraffazione fisica?
Spesso 25% – qualche volta 55% – no, mai 20%
Hai minacciato qualcuno di togliergli l'amicizia per ferirlo o ricattarlo?
Spesso 2% – qualche volta 14% – no, mai 84%
Hai avuto una discussione violenta con un compagno di classe?
Spesso 15% – qualche volta 42% – no, mai 43%
Hai cercato di escludere qualcuno dalle attività di gruppo?
Spesso 2% – qualche volta 36% – no, mai 66%
Hai spettegolato sul conto di qualcuno?
Spesso 8% – qualche volta 61% – no, mai 31%
Hai indotto altri a non parlare con qualcuno?
Spesso 3% – qualche volta 25% – no, mai 72%
Hai assistito ad episodi del genere?
Spesso 28% – qualche volta 53% – no, mai 19%
Le risposte sono state suddivise per sesso e classe. Tale analisi esula dagli scopi di questo studio.
Troppo lungo e indelicato riportare in dettaglio anche il rimanente materiale trascritto. Riportiamo perciò solo un primo tentativo di sintesi cognitiva dedotta dalle testimonianze.
Mappa cognitivo comportamentale emergente dal lavoro con i ragazzi della Scuola Media di Pieris:
L’idea è di identificare le Convinzioni ed i Valori che generano le Strategie ed i Comportamenti violenti, formando il sistema cognitivo su cui si innestano le forme del disagio ma anche le risorse che i ragazzi già dimostrano di possedere. Incrociando ciò che ci si aspettava di trovare e ciò che abbiamo trovato, possiamo costruire la mappa delle strutture cognitive che, assieme ai fattori di personalità (carattere) ed ai climi emotivi tipici di ogni istituto scolastico e di ogni comunità locale, generano comportamenti violenti.
Un valore implicito nell’ambito del tema dell’esclusione dal gruppo è quello dell’Appartenenza. Su questo punto i ragazzi tendono ad essere unanimi. L’esclusione è un’esperienza grave che fa sentire l’escluso “inutile”, “senza valore”. C’è ampio consenso sul considerare l’uso dell’esclusione come una forma di violenza.
C’è la convinzione che fino ad un certo punto il gioco della competizione e lo scherzo siano elementi leciti e normali. La sfida fa parte della normale comunicazione all’interno della relazione di amicizia. Peraltro é accettato come comune il facile oltrepassare i confini del lecito. Oppure si crede che certe persone, per qualche motivo non percepiscano il sentire comune sui confini del lecito. Quest’argomento s’innesta con quello della legalità, che è portato avanti da un altro progetto.
C’è la consapevolezza che la scusa del gioco può essere strategicamente adottata per non assumersi la responsabilità dell’intenzione aggressiva.
C’è una diffusa consapevolezza che sia normale essere un po’ vittima ed un po’ prevaricatori, finché si rimane nell’incerto confine del gioco. Non sembra essere abbastanza chiaro quando finisce il gioco e comincia la violenza.
Emerge la convinzione che sia lecito stufarsi od arrabbiarsi con chi non sta al gioco e si auto esclude. Questi, così facendo, involontariamente assegna agli altri il ruolo di prevaricatori, (che non si sentono di meritare).
Si
tratta di capire meglio fino a che punto è considerata un problema o un dato
naturale. Laddove non c’è già consapevolezza che
La rabbia espressa con silenzio é una forma di violenza? La risposta unanime è sì.
Sintetizzando, le cause dei comportamenti di Vittima e di Aggressore sono attribuiti a:
Problemi a casa (la madre, o la famiglia)
Problemi di gruppo (pressione del gruppo dei pari)
Esperienze negative alle elementari
Difficoltà di inserimento nel territorio
Attirare l’attenzione
Tristezza profonda
Per alcuni è una forma di iniziazione necessaria per essere accettati nel gruppo
Per altri è una strategia necessaria per evitare di mostrarsi debole
Per alcuni l’alternativa è quella di farsi violenza da soli (bere, fumare o sesso rischioso)
L’emarginazione può essere anche un’azione reciproca in cui la vittima ha la sua parte di responsabilità. Questo punto è ribadito con forza e sentimenti di rabbia. La frustrazione per non essere riusciti ad includere la vittima si tramuta in esclusione ancora più convinta.
L’aggressività s’impara in casa per imitazione o prescrizione da parte dei genitori
L’aggressività si apprende dalla televisione
R: dai più grandi. È una catena che coinvolge tutti.
R: gli aggressori diventano così a casa perché sono oppressi dai genitori.
Strategie per reagire o per cambiare il clima di violenza
Chiedere l’intervento dei professori
Allearsi con un altro bullo
Proteggersi nel gruppo diventando oppressore
Chiudersi, isolarsi (R: più reagisci più i provocatori si divertono)
Isolare il bullo
Togliere la scena al bullo
Diventare bullo R: sono dovuto diventare duro… come loro
Si distinguono, tra le altre, le soluzioni positive di chi è riuscito a farsi rispettare coinvolgendo i docenti ed ottenendo l’amicizia del bullo e di chi suggerisce una soluzione che sembra rubata al progetto HC nella parte in cui si mira alla creazione di figure o gruppi leader:
“Chiedereste aiuto agli insegnanti?”
M: “No, perché sono amici tra di loro”.
Emerge l’idea che sia necessario stare uniti come gruppo classe per affrontare il delicato problema dell’aggressività dei docenti. Anche parlare insieme in gruppo è uno strumento che da forza a tutti e fa superare le paure. I ragazzi esprimono gli stessi dubbi e le stesse proposte sia che si tratti di affrontare il bullo sia che si tratti di gestire il docente violento o invadente.
Così come l’aggressore cerca un alleato di forza maggiore (studente di classi superiori) anche la vittima può farloVa segnalato il coraggio di chi ammette d’essere prevaricatore e di non sopportare le persone deboli. Notevole anche il consiglio elargito agli insegnanti di proteggere di meno la vittima, perché tale protezione peggiora l’esclusione (o forse anche l’autostima) della ragazza. Questo comportamento di autodenuncia dei prevaricatori segnala l’assenza (per essi) di un codice di segretezza e la sensazione di essere sia vittime impotenti (per certi aspetti) sia prevaricatori.